La storia del matrimonio
Nell'antichità si riteneva che il matrimonio servisse ad assoggettare la moglie al controllo del marito, il quale la considerava di sua proprietà.
Il diritto romano fu il primo ordinamento a introdurre invece l'idea che il matrimonio fosse un libero accordo tra due persone che decidono di vivere insieme.
La situazione cambiò radicalmente con l'avvento del cristianesimo: al matrimonio fu attribuito infatti il valore di sacramento e suo scopo primario divenne la procreazione dei figli; la sacralità dell'unione tra marito e moglie determinò inoltre l'indissolubilità del legame tra i coniugi e l'inammissibilità di ogni forma di scioglimento volontario. Tale impostazione del matrimonio è sopravvissuta in Italia fino alle soglie di questo secolo.
I tabù e le restrizioni sociali imposti nel corso della storia al matrimonio sono stati molto diversi e spesso anche molto articolati. Una forma di restrizione abbastanza comune fu ad esempio l'endogamia, che limita la scelta del coniuge all'interno della cerchia etnica, religiosa, tribale o all'interno della stessa classe sociale.
Il matrimonio tra fratelli e sorelle invece, solitamente vietato, fu permesso, o addirittura imposto in certe civiltà, come nell'Antico Egitto, in Persia, fra gli incas, in Uganda, alla Hawaii e nello Sri Lanka. Nella maggior parte delle società il matrimonio fu comunque marcatamente esogamo, proibito cioè anche entro gradi di parentela più estesi (ad esempio, fra cugini).
La Riforma protestante, la Rivoluzione industriale e la diffusione dell'ideologia individualista, tipica delle società moderne, hanno comportato nel corso dei secoli significativi mutamenti nel matrimonio come istituzione. Oggi, ad esempio, la scelta del coniuge avviene principalmente per amore; occorre tuttavia sottolineare che pur trattandosi di una scelta in apparenza del tutto individuale, è di fatto fortemente influenzata da numerosi fattori, come le diseguaglianze sociali, le pressioni etniche e religiose, quelle socioeconomiche.
Molti paesi, poi, hanno riconosciuto la possibilità di revocare il contratto sociale tra i coniugi attraverso la separazione legale e il divorzio. La religione cattolica, quella ortodossa e quella induista considerano invece il matrimonio come un vincolo indissolubile e ne concedono lo scioglimento soltanto in alcuni casi eccezionali. La Chiesa cattolica, ad esempio, concede lo scioglimento del vincolo matrimoniale solo in particolari casi e dopo l'intervento del tribunale della Sacra Rota.
La religione induista prevedeva addirittura che la moglie seguisse il marito anche dopo la morte: nel suttee, rito vietato nel 1829 ma ancora diffuso nei primi decenni del Novecento, la vedova era costretta a morire arsa sul rogo che avrebbe bruciato il corpo del marito defunto.
La libera scelta del coniuge è un evento relativamente recente.
In Europa infatti, prima dell'industrializzazione, le famiglie erano considerate prevalentemente come unità produttive, unità dedite cioè all'agricoltura e all'artigianato e in tale contesto la scelta del coniuge non era determinata dall'amore o dall'affetto, ma piuttosto dagli interessi sociali ed economici.
I proprietari terrieri, ad esempio, erano soliti interferire direttamente nella scelta del coniuge per i loro affittuari, in quanto li consideravano una proprietà.
Anche fra i nobili era comune usanza diffusa cercare moglie o marito quasi esclusivamente all'interno della cerchia nobiliare: il fenomeno (detto endogamia) era diffuso anche in molte società orientali: come in India, dove il coniuge veniva cercato fra gli appartenenti alla medesima casta.
In questo modo il matrimonio diveniva un meccanismo sociale di particolare efficacia, in grado di riprodurre la distribuzione diseguale delle ricchezze e dei privilegi fra le diverse classi sociali, di preservare immutati i valori dei gruppi sociali dominanti, di predeterminare le successioni patrimoniali e, in sostanza, di controllare e azzerare ogni forma di mobilità sociale.
Proprio a tal fine, in alcuni paesi orientali (Malaysia, India, Giappone ecc.), sono molto comuni i fidanzamenti o i matrimoni tra bambini, in cui è ovviamente determinante la scelta dei genitori.
In Cina, fino agli anni Cinquanta, spesso accadeva addirittura che lo sposo e la sposa si incontrassero per la prima volta il giorno delle nozze. La tradizione ebraica invece imponeva la continuazione della famiglia attraverso il levirato, l'obbligo cioè di sposare la vedova di un fratello morto senza figli.
Intorno alla metà del ' 700 nelle classi inferiori le femmine si sposavano in media sui 23 anni, mentre i maschi intorno ai 26.
Sullo scarto dell'età matrimoniale delle classi sociali, incidevano diversi fattori: la maggiore durata dell'istruzione e la necessità, per i cadetti, di crearsi, attraverso l'esercizio di professioni liberali, un certo reddito onde potersi permettere un matrimonio consone al proprio ceto sociale e la conduzione di una vita agiata.
Nelle famiglie borghesi, l'accesso al matrimonio era severamente controllato, riservato in genere ai primogeniti ed ad età tardiva, nel tentativo di conservare intatto il patrimonio familiare vietandone la alienazione ed indirizzando i cadetti verso la carriera ecclesiastica. Nella civiltà meridionale, tale legame era confermato dalla preoccupazione costante di assicurare la continuità della famiglia e del patrimonio.
Dall'interdipendenza tra l'età del matrimonio e l'età della morte si hanno diversi comportamenti demografici in vari paesi. Ad esempio, la dove l'invecchiamento era meno rilevante, al matrimonio si accedeva in età giovanile, la dove invece si viveva più a lungo, i matrimoni si celebravano in età più avanzata.
L'età del matrimonio delle donne, era un fattore importante per stabilire il ciclo della loro fertilità e quindi della loro capacità riproduttiva. In genere il periodo riproduttivo è di trentacinque anni.
Questa fertilità lungo l'intero periodo riproduttivo descrive una parabola che ha una fase di rapida ascesa durante la pubertà, ed ha il suo punto massimo durante il decennio tra i 20 ed i 30 anni, dopo di che declina, prima lentamente poi sempre più rapidamente finché viene raggiunta la sterilità. Le donne, quindi, sposandosi intorno ai 23 anni, si può dire che riducessero il periodo riproduttivo in media a 15 anni, tenendo anche presente che la nascita dell'ultimo figlio avveniva intorno ai 38 anni. Un altro fattore importante è l'intervallo di tempo che intercorreva tra una nascita e l'altra.
Andava dai 24 ai 30 mesi e spesso dipendeva da aborti, spontanei o procurati, e dai nati morti.
Bisogna anche tener presente che l'allattamento durava di norma 18 mesi, procurando amenorrea in gran parte dei casi: per circa 6 mesi nella donne ben nutrite e per 18 in quelle mal nutrite. L'allattamento costituiva, quindi, un vero e proprio contraccettivo. Infine gli intervalli tra le nascite si allungavano con il declinare della fecondità e della virilità. Si rileva, inoltre, che i ricchi avevano più figli rispetto ai poveri, certamente perchè i ricchi sposavano donne più giovani e quindi più fertili, perchè i figli venivano affidati alle balie e quindi le madri non dovevano allattare, ed infine perchè le madri erano meglio nutrite ed alloggiate. E' certo che l'alta mortalità infantile tra i poveri era causata da una scarsa alimentazione e da una cattiva igiene. Infatti una porzione più alta dei figli dei ricchi sopravviveva sino all'età adulta proprio perchè più sana.
Alcune circostanze nello svolgimento del tempo non sono cambiate, la storia si ripete quasi ciclicamente. Il filo conduttore ? Quel filo é dentro di noi, dentro tutte quelle persone che nel corso della storia si sono amate e hanno saputo assumersi i propri obblighi superando le avversità della loro era.
Fonte:http://www.foreversposi.it/curiosit%E0/la_storia_del_matrimonio_introduzione.htm